sabato 24 ottobre 2015

Quattro chiacchiere, una poesia di Montale e un po' di musica.

Quando avevo pensato di aprire questo blog, inizialmente, non volevo dirlo a nessuno e tenerlo per me, restando nell'anonimato. Ora come ora, pochissime persone ne conoscono l'esistenza e molto probabilmente, di questi pochissime, solo la mia migliore amica legge di tanto in tanto. Una su cinque.
Questo quasi-anonimato mi permette di essere il più schietta e aperta possibile, proponendovi esattamente quel che mi passa per la testa.
L'idea di ottenere uno spazio mio e solo mio, dove poter condividere con gente sconosciuta il caos che vive quotidianamente nella mia testa, mi frullava già da un po' e qualcuno mi ha soltanto ulteriormente spinta a inseguire quest'idea. Questo qualcuno molto molto molto probabilmente non leggerà questo post.

Ieri sera sono uscita con un mio amico e, dopo aver mangiato un panino e un gelato, abbiamo deciso di farci una camminata, una delle nostre camminate veloci pseudo sportive. Era l'una di notte.
Si stava bene, l'aria era piacevole e il paese era deserto.
Una chiacchiera tira l'altra e ci siamo ritrovati a parlare di scelte e del fatto che si può quel che si vuole veramente. Io, dopo ventidue anni, ho imparato questa lezione: la vita è fatta di scelte.
Sia chiaro, non che tutto quel che vogliamo si trasformi in realtà con niente, però ci sono scelte che dipendono solo ed esclusivamente dal singolo.
Molte ragazze della mia età si sono sposate in questo periodo. Chi con il fidanzato storico e chi con qualcuno che conosce da poco più di un anno.
Non che io abbia qualcosa in contrario al matrimonio, ma ora io non avrei avuto il coraggio di fare quella scelta. Non ce l'avrei fatta.
Bel coraggio, penso.
Mi chiedo se la loro scelta sia frutto o meno di un amore folle, di qualcosa di incredibilmente potente e poetico. E penso che di una cosa sono certa nella vita e questa cosa è che mi sposerò solo se sarò follemente innamorata e sicura, altrimenti niente.

Oggi vi posto questa poesia di Eugenio Montale.

Suonatina di pianoforte
Vieni qui, facciamo una poesia
che non sappia di nulla
e dica tutto lo stesso,
e sia come un rigagnolo di suoni
stentati
che si perde tra le sabbie
e vi muore con un gorgoglio sommesso;
facciamo una suonatina di pianoforte
alla Maurizio Ravel,
una musichetta incoerente
ma senza complicazioni,
che tanto credi proprio
a grattare nel fondo non c’è senso;
facciamo qualcosa di “genere leggero”.

Vieni qui, non c’è nemmeno bisogno
di disturbar la natura
co’i suoi seriosi paesaggi
e le pirotecniche astrali;
ne’ tireremo in ballo
i grandi problemi eterni,
l'immortalità dello Spirito
od altrettanti garbugli;
diremo poche frasi comunali
senza grandi pretese,
da gente ormai classificata,
gente priva di “profondita’;
e se le parole ci mancheranno
noi strapperemo il filo del discorso
per svagarci

in un minuetto approssimativo
che si disciolga in arabeschi d’oro,
si rompa in una gran pioggia di lucciole
e dispaia lasciandoci negli occhi
un pullulare di stelle, un ossessione di luci.

Poi quando la suonatina languirà davvero
la finiremo come vuole la moda
senza perorazioni urlanti ed enfasi;
la finiremo, se ci parrà il caso,
nel momento in cui pare ricominciare
e il pubblico rimane con un palmo di naso.

La spegneremo come un lume, di colpo. Con un soffio.







2 commenti:

  1. Continua a condividere il caos della tua testa per favore. E' davvero un caos, so che puoi fare di più. Te lo dico per egoismo. Leggere i tuoi post mi sta facendo mettere un po' d'ordine nella mia testa, perché mi ostino a cercare di capire cosa dici.

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  2. Grazie. Mi fa piacere sapere che qualcuno cerca ordine nel mio caos!

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